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ORGANI E ORGANISTI ‘MODERNI’

ORGANI E ORGANISTI ‘MODERNI’

prof. Pierfranco Moliterni

Il nostro titolo potrebbe trarre in inganno se lo si volesse interpretare in termini di mera ‘anatomopatologìa’. Ma così non è, in quanto noi ci riferiamo allo strumento musicale, l’organo a canne, che è da sempre chiamato «il re degli strumenti»; e di converso a chi quello strumento suona, e cioè agli organisti. Dunque si dà il caso, a dimensione storica, che l’organo è da sempre lo strumento che troneggia in una chiesa, in una cattedrale, in un duomo. Tutta l’Europa che conosciamo e che ammiriamo è piena di codesti imponenti strumenti atti a far raccogliere i propri fedeli in preghiera (siano essi cattolici, calvinisti, luterani, evangelisti) o a suscitare in loro, grazie ai suoni imperiosi che fuoriescono dalle ‘canne’, sentimenti religiosi e pie motivazioni fideistiche. Ma tutto, per nostra fortuna, non si esaurisce qui, in  quanto l’organo è presente anche in sale da concerto, in strutture musicali profane ovvero, come a Bari, in un auditorium annesso al locale Conservatorio di musica statale, esso fortemente voluto (non lo dimentichiamo) dal direttore Nino Rota e dal presidente Vitantonio Barbanente, or sono trent’anni fa. Quindi questo imponente strumento (Zanin-Tamburini) che da noi conta più di 4000 canne non dovrebbe né potrebbe essere limitato, sonoramente, alle esecuzioni di musiche di Bach, Handel, Mendelssohn, Reger, Buxtehude  ma dovrebbe ‘aprirsi’ alla contemporaneità, persino alla sperimentazione e alla contaminazione.

Ecco qui, allora, la parola magica che fa al nostro caso- CONTAMINAZIONE–  e che ha avuto una degna consacrazione mercoledi 22 maggio grazie al bel concerto dei maestri Enzo Filocaro (organista) e Filippo Lattanzi (percussionista) i quali si sono adeguati al messaggio innovativo che la musica d’oggi richiede a tutti, nessuno escluso, compresi gli organisti ‘ex-da chiesa’: e cioè sperimentare nuove forme adatte al consumo musicale contemporaneo. In quel concerto, veramente memorabile, pur partendo dai tradizionali Handel e Wesley si è subito passati a Xenachis, Sèjourné e addirittura al Piazzolla più famoso e ascoltato, con il suo Oblivion fantasticamente ‘arrangiato’ dai due solisti, per poi terminare con una funambolica ritrascrittura della Danse macabre di Sant-Saens che, in tal modo, ci è parsa nuova, anzi nuovissima!

 

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