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Il ’68 della musica classica

Il ’68 della musica classica

(Pierfranco Moliterni)  

Sono passati ben cinquant’anni e durante questo 2108 si sta celebrando l’oramai mitico ’68 con tutta una serie di manifestazioni storico-culturali che vogliono ricordare ai più (e in specie ai giovani d’oggi che non vissero quella stagione di ‘contestazione’ come si disse)  gli anni che  dal 1968 ad almeno tutto il 1972 misero in moto processi di rinnovamento della società prima europea (partendo dalla Francia) e poi italiana, e i cui effetti sono visibili ancora oggi: statuto dei lavoratori, legge sul divorzio, riforme della scuola, della università e della sanità, accesso alle assemblee sindacali nel luogo di lavoro…. Le canzoni e i cantautori del tempo che in qualche modo ne tradussero in musica le istanze sono noti a tutti: da Guccini a Gaber, da De Andrè a Pietrangeli, Venditti, Giovanna Marini poiché anche la musica italiana fu investita da quel clima di rinnovamento e adeguamento agli standard europei che si nutriva degli esiti della musica beat (un sottogenere della popular music nato dal rock and roll, negli anni Sessanta, in Inghilterra cui seguì l’esplosione della musica inglese in tutto il mondo). Un recente libro voluto dallo CGIL di Bari e appositamente coordinato nelle fasi attuative dal prof. Pasquale Martino, ne raccoglie le memorie con vari contributi e interessanti stralci che ancora fanno riflettere: ’68 E DINTORNI. LOTTE E PROTAGONISTI IN TERRA DI BARI– Bari, ediz.Radici Future, 2018.

Dunque solamente ‘musica leggera’? Nient’affatto. Perché la rivoluzione dei contenuti e delle coscienze riguardò anche la “musica colta” (oltre a quella “extracolta” – tanto per citare la fortunata definizione coniata da Luigi Pestalozza- responsabile nazionale musica nel PCI di Berlinguer) in una contaminazione e trasversalità perseguita in primo luogo proprio da quella leva di musicisti i quali, formatisi in quegli anni nel Conservatorio ‘Niccolò Piccinni di Bari” e permeati dalle istanze sessantottine, ne avevano assecondato il processo di profonda modernizzazione. Citiamo dunque qualche passaggio di un saggio firmato da chi scrive e che fa parte del prezioso libro di memorie di un tempo che fu, tempo indelebile nella coscienza storica del nostro Paese:

«[…..] tutto era incominciato con un impegno proto-movimentista poiché nei quattro anni scolastici compresi tra il 1964-65 e il 1967-68,  Rino Marrone ed io, allora allievi di violoncello e di violino al Conservatorio di Bari, ideammo e organizzammo nella sede inusuale del ‘sottoscala’ del Conservatorio (che adattammo da soli a sala-conferenze) una serie di «Incontri Musicali» che durò ben quattro anni anche grazie al sostegno del direttore Nino Rota, già allora famoso autore delle colonne sonore dei film di Fellini. L’alto profilo e il carattere “trasversale” di quelle pioneristiche conferenze-concerto musicali, davvero inusuali per quel tempo a cui intervenne fra gli altri un critico del calibro di Fedele D’Amico titolare della pagina musicale de «L’Espresso» e amico personale di Rota, spaziava dal jazz d’avanguardia alla dodecafonia e allo sperimentalismo della musica elettronica; vi furono inoltre pomeriggi letterari (grazie anche alla collaborazione con studenti del liceo Orazio Flacco) dedicati a letture di Garcia Lorca e Prevert, alla beat generation e perfino al settimo centenario di Dante (1965). Si finì con un memorabile concerto-conferenza con il programma integrale del ciclo liederistico Winterreise di Schubert per la voce del baritono Jan Taylor accompagnato al pianoforte da Nino Rota in persona. Quel mitico maestro, barese d’adozione – il quale, nelle more degli impegni internazionali, dimorava nel proprio studio situato all’interno del “suo” conservatorio-  nonostante la personale disposizione democratica nei confronti dei suoi allievi, una sera del 1969 fu ‘graziosamente invitato’ a lasciare l’istituto di via Brigata Bari che era stato occupato da noi «musicisti sessantottini» decisi ad imitare le occupazioni di altri edifici scolastici cittadini! A partire da questa fase si svilupparono esperienze assai significative.

L’ambito “classico-colto” venne rappresentato dal gruppo di musicisti baresi che ruotava attorno all’ensemble cameristico “Antica e Nuova Musica” (Marrone, Moliterni, Cufaro, De Crescenzo, Pappagallo, Marconi, Tannoia, Mastropierro, Cirillo, Portino, Chiapperini); da quello salentino di Rina Durante e del suo “Canzoniere grecanico salentino”, seguìto dai gruppi di musica folk di Capitanata e baresi con operatori/musicisti come Giovanni Rinaldi, Dinko Fabris, Mario De Pasquale (“La compagnia dei musicanti”) e infine da musicisti jazz ‘extra-colti’ a voce di Roberto Ottaviano, Rossana Buono, Vittorio Servidio e del batterista Paolo Lepore con il suo complesso rock degli ‘Hugu Tugu’; per finire alla ‘Via del Blues  nata nel 1969 su iniziativa di Gino Giangregorio e Dino Panza. L’esito finale di tale pioneristico itinerario fu la nascita di un pubblico nuovo regionale sensibilizzato “sul campo”  grazie a tanti concerti-dibattito per cogliere le novità di musica classico-romantica e/o moderna-contemporanea o di jazz di qualità, esplicitate sia attraverso la nostra pratica musicale con l’impegno di una ‘parola d’ordine’, decentramento, spesa a favore delle ‘masse’ e degli esclusi dalle cerimonie un po’ snobistiche delle premières al teatro Petruzzelli. Non possiamo tacere alcune di tali esperienze messe in campo dal gruppo “Antica e Nuova Musica” – tutte rigorosamente ad ingresso libero… – grazie anche alla collaborazione dei CSC regionali (Centri servizi Culturali) dapprima nel quartiere S. Paolo di Bari (concerto-dibattito su musica/quartiere/scuola), poi a Grottaglie, Nardò, Corato, Molfetta, Gioia del Colle, Monopoli, Foggia, Brindisi, Canosa, CRAL Enel di Bari. Per finire alla lunga e notevole serie de «I concerti della domenica»  che ebbe sede nella piccola chiesa romanica di S. Gregorio,  ideati tra il 1971 e 1981 sempre da “Antica e Nuova Musica” in grado di ‘mischiare’ inclito e popolare, alto e basso. Il dato teorico veniva nel frattempo assicurato da conferenze-concerto che si tennero a Bari nella biblioteca De Gemmis, come quelle sulla free music nera con Giampiero Cane del DAMS di Bologna (critico musicale del «Manifesto») e quella sulla ricerca in ambito di musica popolare tenuta da Diego Carpitella, etnomusicologo di spolvero internazionale nonché critico di «Rinascita»; o infine da Mario Baroni responsabile della pagina-Musica de «L’Unità» a colloquio con Luigi Nono in persona, il maggior compositore italiano di quegli anni. Infine il Convegno Per la riforma delle attività musicali in Puglia, voluto dall’ARCI regionale pugliese e tenutosi a Bari il 25 maggio 1977, ratificò tutte le conquiste partorire proprio dalle istanze nate nel ’68 e dintorni. Conquiste che a un certo punto si scontravano con un nodo irrisolto: il riconoscimento statale, in atto sin dal 1968, del massimo teatro pugliese, il “Petruzzelli”, come Teatro di Tradizione, ma per un teatro che tuttavia mostrava ancora il suo “peccato originale”: essere un teatro privato gestito da privati e quindi assai poco incline alla gestione pubblica ormai invocata dallo spirito del ’68.

Ma una svolta davvero storica fu messa in campo dalla CGIL-spettacolo: il mutato clima prima politico e cultural-musicale del ’68 pugliese interessò la maggiore organizzazione sindacale schieratasi a fianco dei lavoratori della musica sul fronte dell’agognato riconoscimento statale di una orchestra finalmente pubblica;  il progetto nacque, non a caso, proprio nell’ottobre del 1968 e grazie anche alla sensibilità con cui l’Amministrazione Provinciale di Bari accolse le sollecitazioni del prof.Vitantonio Barbanente (presidente del Conservatorio di Bari) il quale, nel tempo, ebbe insperati alleati nei presidenti o consiglieri Fantasia (DC), Scionti (PCI), Mastroleo (PSI), Miccolis (DC). Nacque così l’Orchestra di Bari che inaugurò la sua attività sotto la direzione stabile del m° Gabriele Ferro, un giovane docente del Conservatorio barese. Tre anni dopo questa orchestra, riconosciuta dal Ministero dello Spettacolo “formazione d’interesse nazionale”, iniziò il lungo cammino di Istituzione Concertistica Orchestrale (ICO) che dura tuttora, nel 2018, in quanto Orchestra Metropolitana. La sua direzione artistica venne  via via affidata a direttori di livello nazionale (Ferro, Campanella, Marrone, Marvulli, Cavallaro, Marrone, De Simone) grazie ad un’operazione preziosa, e davvero pioneristica per Bari e la Puglia  intesa soprattutto ad aggiornare la offerta musicale con programmi innovativi che comprendevano per esempio il Pierrot Lunaire o Un sopravvissuto di Varsavia di Schoenberg, La carriera di un libertino o la Histoire du soldat di Stravinsky, i Folk songs di Luciano Berio con la voce di Caty Berberian, i cicli sinfonici di Sibelius, Schuman, Brahms; e avvalendosi di direttori ospiti e interpreti di gran nome come Delman, Giovaninetti, Fistoulari, Maag, Bellugi, Gusella, Viotti, Leibovitz, Neuhold, Zedda, Ennio Morricone, Emil Gilels, Ciccolini, Kogan, Asciolla, Accardo, Marvulli, Casadesus, Petracchi, Fiorentino, Brunello.

Un clima insomma davvero favorevole per il pieno sviluppo della offerta musicale di qualità circolò nella Bari di quegli anni anche dopo il ‘68 e, a parer mio, come risultato di una spinta che influenzò persino le scelte di taluni concerti organizzati dalla Fondazione e dalla Camerata Musicale Barese. Sul palcoscenico del teatro Piccinni si affacciarono solisti di fama internazionale, che oggi sarebbe arduo persino immaginare, come il giovane Maurizio Pollini, Nikita Magaloff o Wilhelm Kempff, per non tacere del mitico chitarrista Andrès Segovia o del memorabile Modern Jazz Quartett per finire ai recitals di Arthur Rubinstein, Alirio Diaz, Gulda, Badura Skoda, Gulli, L. Berman, Gazelloni e Giorgio Gaslini

prof. pierfranco moliterni- Univ.di Bari: storia della musica mod. e contemp

 

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