Il fascino del cinema è il fascino di una cultura che va oltre la parola. L’immagine è specchio e maschera, movimento e pausa. Il cinema è America. Per Cesare Pavese (1908 – 1950). Dal cinema alla letteratura e viceversa dalla letteratura al cinema gli intrecci che si accavallano in questo complesso ed entusiasmante passaggio hanno quasi sempre delle risonanze sia sintattiche che iconiche.
La parola e l’immagine, il suono e la visione si amalgamano sullo schermo e nel pensiero dando una maggiore vibrazione al senso della coralità.
Il narrare cede il posto al mostrare o viceversa, ma entrambi fanno parte della rappresentazione e dell’espressione sostanziale dell’arte. Da qui alla forma, al comportamento, all’analisi del contenuto. Il cinema e la letteratura si servono di livelli per meglio comunicare i loro messaggi. Da qui l’importanza del soggetto e quindi della scenografia. In questo contesto numerosi sono stati gli scrittori italiani che si sono confrontati con il cinema.
Sin da studente amò profondamente il cinema. Infatti due suoi saggi di critica cinematografica risalgono al 1929 il primo e al 1930 il secondo. Furono pubblicati su “Cinema Nuovo” del luglio-agosto 1958, dai quali trapela la forte passione legata a profondi connotati analitici e critici. Già da questi due saggi scritti in giovane età si può evincere il rapporto fra cinema e letteratura che in Pavese è rimasto sempre irrisolto sia per la sua prematura scomparsa, sia per una serie di altri interessi culturali che si assommano alla sua ricerca estetica in campo cinematografico.
Si tratta di una sceneggiatura divisa in due parti dove i ruoli sono ben distinti e i personaggi ben collocati come se già si muovessero sulla scena o meglio sullo schermo. È chiaramente rimasto in fase di abbozzo, ma la vena autobiografica è molto evidente. È da collocare in quella gamma del cinema muto che fa emergere la sua costante presenza artistica.
Anche qui i personaggi si muovono in un contesto ben raffigurato che pone al centro fattori e problemi umani, psicologici e sociali. In entrambi gli ambienti si reggono su una tensione che ha qualcosa di drammatico e di lirico.
Allora. Il percorso cinematografico pavesiano passa attraverso alcune fasi. 1. Nasce come frequentatore di sale cinematografiche e subito crea dei riferimenti critici tra il 1927 e il 1929.
2. Studia il ruolo del cinema leggendolo in termini letterari, ovvero tra immagine e scrittura.
3. La letteratura americana diventa fondamentale portando, con la sua tradizione, nel cerchio scrittori che resteranno nella storia.
4. Scriverà soggetti per il cinema pensando come interpreti le sorelle Dowling.
5. Di alcuni suoi romanzi verranno tratti film importanti e verranno portati sulle scene teatrali il suo “Vizio assurdo” e pagine di Leucó.
Tutto questo trova un senso nella sua formazione e nella sua ricerca letteraria oltre che nel suo “mestiere di vuvere”.
L’incomprensione, il senso di morte e la solitudine sono i fili dominanti che reggono quasi tutto lo scenario, il quale sembra costruito per interpreti-personaggi già delineati.
D’altronde, Pavese mirava a realizzare un soggetto che andasse per la sua Costance, l’ultimo suo amore o forse l’ultimo suo inganno. Ma al di là di questa parentesi il cinema per Pavese non era certamente evasione, era fondamentalmente ricerca sia letteraria che tecnica, e soprattutto rappresentava un motivo di confronto con la sua attività di scrittore e di letterato.
È questa la visione che Pavese ha del cinema. Una visione che travalica il concetto stesso di realismo per dare una dimensione dinamica, sintattica, corale all’immagine filmica.